Casperia, la rinascita attraverso la bellezza
«La cittadina adesso è viva, ricca, vissuta. C’è un proliferare di gruppi, associazioni, iniziative. Ogni settimana sono talmente tante le occasioni di aggregazione sociale e di incontro, che non riesco più ad accontentare tutti con il mio lavoro. Il dinamismo sociale e culturale fa impressione e a tutto questo non mi sono ancora abituato». Brillano gli occhi a Marco Cossu quando parla della sua Casperia. Lui, che ha 26 anni e fa l’assessore alla cultura e al turismo del suo comune, aveva segnato un piccolo record nella tornata delle amministrative del 2009 quando, a soli 23 anni, era stato uno dei più giovani in Italia a conquistare un seggio in un consiglio comunale; e quasi si commuove, adesso, a constatare e a raccontare il miracolo di rinascita di un paese da cui invece i giovani avevano preso a fuggire, e dove adesso ricominciano a tornare.
«Il caso Casperia», lo chiama con un po’ d’orgoglio. Ma non ne affida il merito all’operare della giunta (sarebbe troppo poco, in ogni caso, il tempo di governo per rendere conto di un tale cambiamento), bensì alle peculiarità del centro storico, alla struttura del borgo, ai palazzi, ai vicoli, alle mura, in ultima istanza alla bellezza del villaggio stesso. Casperia è un paese come tanti, al primo sguardo. Un centro di 1.250 anime della provincia reatina, nella Sabinaprofonda, adagiato sopra un colle circondato dagli ulivi e da scure macchie boschive dove le querce e i faggi fanno da sipario alle vicende di cinghiali e cacciatori. L’impianto del borgo è medievale, ma ha origini più antiche, e il suo forte sono i palazzi del ‘500. È un gioiello che si stacca rilucente sul fondo scuro della Valle Tiberina, in una terra aspra e rimasta selvaggia. “Aspra”, non a caso, era il nome del comune – quasi un programma, si direbbe – fino al 1947.
Ne parlava già Virgilio nell’Eneide, raccontando della nascita di Roma. L’antica Casperia, secondo i più, sarebbe stata la prima città dei Sabini, il popolo preromano a cui i Romani rubarono le donne, secondo il mito del decantato “Ratto”. Su quel primario insediamento i secoli hanno accumulato, quasi come incrostazioni della storia, manufatti edili, stabili, palazzi nobiliari, piccole casette, chiese preziose, in un compendio che appare straordinario nel risultato d’armonia.
Non ci sono strade vere e proprie a Casperia, ma solo viuzze a gradini e saliscendi: le automobili semplicemente non possono passare. Tutto appare come fermo a un migliaio d’anni fa. E i muri in pietra soggiogati dalla parietaria e dal cappero selvatico, i vicoli in salita, i tetti spioventi da cui partono, come infinite stalagmiti, comignoli sempre fumanti nei mesi dell’inverno, ne fanno un piccolo mondo antico, che però, come tale, rischiava di sparire dagli interessi del presente e dei contemporanei.
«Solo quindici anni fa Casperia era morta, in declino e in piena decadenza – dice Cossu – in pochi resistevano a vivere nel centro. Le costruzioni venivano lasciate al loro destino e così iniziavano a crollare letteralmente a pezzi». Un immenso patrimonio di bellezza rischiava di cadere sotto il peso dell’incuria e degli anni d’abbandono, che iniziavano a rendere le travi lignee delle case medievali duttili e insicure, e gli intonaci e gli affreschi dei palazzi rinascimentali troppo teneri per l’umidità incalzante. Negli anni ’60-’70 il paesello era nel pieno del vigore. Era tutto un brulicare di artigiani autentici e mestieri ormai scomparsi. Il “ribollir de’ tini”, lì, non era solo un ricordo letterario. Poi dagli anni ’80 al 2000 il periodo buio dell’abbandono. La Casperia arrivata alle soglie del nuovo millennio incarnava in sé il più stantio dei cliché di provincia: era a tutti gli effetti un “vecchio addormentato” disteso sopra una collina, un presepe d’antiquariato in una bolla vitrea, incontaminato dall’esterno, ma corroso dalla polvere del tempo vuoto.
Eppure «era in grado di incantare», dice Roberto Scheda, architetto e designer romano che in quegli anni, stanco della routine cittadina, arrivò a Casperia quasi per caso, in una gita fuori porta, per poi non andarsene mai più. Ha abbandonato tutto per fare il falegname: «Casperia è circondata da monti che non sorridono al viaggiatore. Così non ci sono larghe strade per raggiungerla. Ma le alture, che in un senso la nascondono, dall’altro ne hanno preservato l’incanto del profilo. Quando si arriva verso il centro, dopo innumerevoli curve sulla strada, ci si trova di fronte a un luogo fiabesco, forse unico. E io me ne sono innamorato». Roberto Scheda, quando arriva a Casperia, è già sposato. Sua moglie, Moureen Donovan, è una navigata agente di viaggi gallese che in quegli anni porta in giro per l’Italia turisti inglesi, americani e sudafricani. E un giorno Moureen ha un’illuminazione: decide di aprire un struttura ricettiva nel villaggio. «Lo fa nonostante la mia disapprovazione e le mie perplessità – dice Roberto – qui non c’erano né alberghi, né visitatori, il paese non era sulle rotte internazionali del turismo e non aveva nulla da offrire, se non, certo, la bellezza un po’ romantica degli scorci decadenti, il silenzio quasi sovrannaturale delle viuzze interne, la possibilità di abbracciare con lo sguardo, una volta sopra le mura di cinta, un panorama di un verde immenso che va dai monti Sabini e arriva fino al Tevere, con la sagoma isolata del Soratte all’orizzonte». Sarà tutto questo, invece, a fare la sua fortuna. Moureen, che conosce bene i gusti degli anglosassoni infatti, va per la sua strada. Decide di acquistare un palazzetto del ‘500 privo d’uso e quasi dimenticato dai proprietari, lo restaura da capo a piedi, e lì apre un bed&breakfast. E ci vede lungo. «All’inizio sembrava una vera sfida all’evidenza, una follia – dice – ma poi, nel giro di pochi mesi iniziarono ad arrivare inglesi, americani, danesi». I primi di questi a giungere, decidono senza troppi indugi di comprare casa in paese. Ne rimangono folgorati. Casperia si dimostra una calamita sorprendentemente attraente. Siamo alle soglie del 2000 e da allora, per poco più di dieci anni, il trend non si è più fermato.
Duemila anni prima Orazio, nei suoi Carmina, scriveva trasportato dall’emozione dello sguardo mentre si trovava da queste parti: “Laggiù si staglia il Soratte, vedi?, con candido manto di neve. Stremati, faticano i rami a reggere il peso. Per il gelo tagliente, fiumi e ruscelli si sono rappresi”. Il poeta raccontava il gelido inverno che stringeva il monte, mentre lo contemplava a distanza da un ambiente caldo e rassicurante, con “piazze, amori gentili e danze”. Sarà un caso, ma sembra che quella stessa accoglienza e quella stessa poesia siano tornate in questi anni a coinvolgere, come in un incantesimo senza soluzione di continuità, tutti coloro i quali a Casperia sono arrivati come forestieri: viaggiatori abituati a vagare per le latitudini del mondo che mettono piede nel paese e ne subiscono una fascinazione dalla quale non riescono più a sciogliersi, come in preda a un canto di sirena, e tale che abbisognano con forza di legarsi in qualche modo a quell’angolo di terra, di piantarvi una pur minima radice. Acquistano gli immobili, dunque, e li restaurano per viverci o per passare le vacanze. Nasce così un inaspettato “Chiantishire” in versione sabinese. Un movimento turistico costante che però, anziché adagiarsi sulla leggiadria bucolica di un luogo già in ascesa, ridona vita a un paese che era arrivato alla linea terminale.
«I lavori di ristrutturazione fioriscono qua e là, uno dopo l’altro. Si smuove finalmente il mercato immobiliare. Le case storiche e le bellezze artistiche e architettoniche sono messe al riparo. Il Comune fa del suo, intervenendo sulle strade, sull’arredo urbano e, in passato, con un piano finanziario di copertura degli interessi sui mutui per i lavori di recupero», dice l’assessore Cossu mentre, mostrando gli archi, le viuzze e i muri messi a nuovo, intima di andare piano, «con calma», dentro il borgo, perché «bisogna godersi l’atmosfera». Dentro però il borgo è brulicante di lavoro, fervente e nient’affatto calmo. L’odore di malta e di vernice permea dappertutto quell’atmosfera. Massimo Modesti, titolare dell’impresa edile più attiva sul territorio, non si lamenta del lavoro, nonostante i tempi di crisi: «Non mi fermo un attimo. Gli anni dal 2006 al 2009 sono stati i più impegnativi, ma qui ogni settimana ricevo una richiesta per una ristrutturazione nel centro storico. Ho appena terminato un lavoro per un francese. E poi ci sono i canadesi, gli australiani e tutti gli altri da accontentare. Si rivolgono alle agenzie immobiliari, chiedono le pratiche al Comune, e poi vengono da me».
In cinque anni la popolazione del centro è aumentata del 25%, mentre sono esplosi gli investimenti e le speculazioni edilizie. Casperia ha subìto un boom demografico che ha coinciso, parallelamente, col progressivo rifiorire della sua bellezza architettonica. C’è chi ha comprato per restaurare e poi rivendere a prezzo maggiorato. Ma sono in tanti, soprattutto stranieri o romani in fuga dalla metropoli, a fermarsi stabilmente. Tra questi, poi, in molti fiutano l’affare e aprono strutture ricettive o servizi per turisti, restituendo alla cittadina perle in preda al degrado più letale. È il caso di Franco Angelelli, ex amministratore di una società commerciale, che decide di tornare al paese dei suoi genitori e di aprire una scuola di cucina, Gusto al Borgo,con corsi rigorosamente in lingua inglese. «Abbiamo solo studenti stranieri che vogliono imparare l’arte culinaria italiana – spiega – offriamo lezioni sulle specialità della cucina regionale e siamo accreditati presso la California Culinary Academy che manda i suoi allievi a specializzarsi qui da noi». Il tutto ha sede a Palazzo Massari, la residenza nobiliare più antica di Casperia, risalente al 1565. «Quando l’ho acquistato era inabitabile – racconta Angelelli – ho impiegato sei anni per rimetterlo in sesto. E oggi accogliamo i nostri studenti tra splendidi affreschi».
Anche Palazzo Forani ha avuto nuova vita. Si tratta di una residenza di oltre 50 stanze costruita sul finire del XVI secolo dalla famiglia dei Bruschi, feudatari degli Orsini. I due orsi in pietra che affiancano, maestosi, il portone dell’ingresso (costruiti in omaggio agli Orsini stessi, secondo una facile analogia) sono divenuti in questi anni l’immagine più riconoscibile della cittadina. Gli eredi dei nobili proprietari del palazzo, dopo anni di abbandono, si sono decisi finalmente a scrostare dalla polvere i saloni, gli stucchi e i ricchi arazzi. E oggi una parte della residenza è adibita a casa vacanze.
Anche gli stranieri, arrivati come turisti e poi fermatisi, hanno iniziano a lavorare nel turismo. Johnny Madge, oltre ad essere un inglese doc, fa lo sculture. A Casperia ha il suo studio d’arte, lavora la pietra e vende le sue opere. È diventato un oleologo professionista e lui, che viene da oltremanica, è il solo in tutta la Sabina ad organizzare tour turistici sulla millenaria produzione dell’olio di oliva in queste terre. Il Jhonny MadgeOlive Oil Tour, come lo chiama, attira numerosi suoi connazionali i quali, di solito in visita nella Capitale che dista solo un’ora di viaggio, trovano il tempo per raggiungerlo e farsi guidare alla ricerca delle più solide tradizioni agricole del luogo.
A Casperia, insomma, è sorta un’Albione in miniatura, un’enclave anglosassone riccae in movimento, nel cuore di una delle province più depresse della nazione. E i casperiani, o meglio gli aspresi come amano ancora farsi chiamare perché orgogliosi e gelosi del loro gioiello urbano e della loro ricca storia, non sono stati a guardare. Il turbine anglofono li ha svegliati da un sonno troppo lungo. Nuove attività ommerciali, prima quasi inesistenti, sono sorte in poco tempo e gli aspresi, orgogliosi assai come si è detto, hanno iniziato a curare di nuovo i loro immobili. Anche loro hanno reso a restaurare. Quelle che una volta erano cantine malmesse o stalle di somari ormai in disuso, sono diventate centri per lo yoga, o ristoranti vegan. E oggi il paese è nuovo mondo, che non smette di stupire.
Gli aspresi, d’altronde, non si accontentano dell’apparenza, ma vanno alla sostanza, sono sempre in cerca di qualcosa, sono consci, e convinti fermamente, del fatto che la loro amatissima cittadina sia un luogo unico e geniale, un incantesimo del tempo che, dal passato, ha sempre un coniglio da tirare fuori come farebbe un mago dal cilindro. L’ostinazione di Cristiano Ranieri e Catia Granati ne è un esempio. Lui giovane archeologo, lei ancor più giovane archivista e storica dell’arte, sono arrivati insieme alla scoperta di un acquedotto pre-romano di cui nessuno serbava più alcuna conoscenza. Hanno lavorato gratis, senza alcun compenso, «per amore del territorio, ma soprattutto per l’amore che gli abitanti di Casperia adesso mostrano verso il loro paese», dice Catia. «Non si tratta di stucchevole campanilismo – spiega – ma di una precisa presa di coscienza dell’immenso valore che ha, anche in termini economici, il patrimonio storico di cui sono i naturali custodi e della volontà che questo non vada più perso in alcun modo». L’abbondanza delle carte e dei reperti conservati nell’archivio del Comune sono la testimonianza più tangibile di questa ricchezza. Proprio da lì Catia è partita nella sua ricerca. «Era necessario mettere in ordine l’archivio storico dopo che erano stati eseguiti dei lavori di restauro degli ambienti, durante i quali tutti i fascicoli e i documenti erano stati accatastati alla rinfusa in un magazzino. Ma dopo i lavori il Comune non aveva più fondi da spendere, così io mi sono offerta di farlo gratuitamente». Lavorando alla sistemazione delle carte, Catia si imbatte in alcuni registri conciliari del XVII secolo che presentano qualcosa di molto interessante: «In quegli atti si parlava di problemi alla distribuzione dell’acqua nelle fontane del borgo dovuti a una rottura di un certo Acquedotto di Paranzano. Leggendoli mi sono incuriosita, perché non lo avevo mai sentito nominare». Aspra all’epoca era sotto il dominio dello Stato Pontificio. In questi casi le comunità locali che necessitavano di fondi per inanziare lavori pubblici si rivolgevano alla Congregazione del Buon Governo a Roma.
Di solito le richieste avvenivano per iscritto su documenti redatti in duplice copia: una restava nella comunità richiedente e l’altra veniva inviata alla Congregazione. Ma la richiesta nell’archivio di Casperia non si trova. Catia si reca dunque a Roma, all’archivio di Stato di Sant’Ivo alla Sapienza e dopo settimane di ricerca, trova finalmente, come sperava, gli atti si autorizzazione ai lavori di riparazione dello sconosciuto acquedotto. «Grazie a queste carte è stato poi facile individuare l’ubicazione della struttura», dice Cristiano che, col suo gruppo speleoarcheologico composto di soli volontari, ha portato avanti le indagini sul campo fino a scovare l’antichissima opera ingegneristica poco fuori le mura del paese. «Si tratta di un sistema idraulico molto importante – sottolinea – unico nel suo genere in tutto il territorio e fondamentale per gettare luce sulle conoscenze costruttive di una delle popolazioni preromane più importanti, quella dei Sabini, di cui ci restano pochissime tracce». E c’è da credere che altre ancora saranno le sorprese.
Casperia nel frattempo è diventato un paese “Bandiera Arancione”, ottenendo il prestigioso riconoscimento con cui il Touring Club certifica l’eccellenza e le qualità turistico-ambientali dei piccoli borghi dell’entroterra italiano che hanno saputo distinguersi per la valorizzazione del patrimonio culturale, la tutela dell’ambiente e la cultura dell’ospitalità. «Casperia – fanno sapere dal Touring – si distingue per l’integrità e la conservazione del nucleo abitativo antico, che i recenti lavori di ristrutturazione hanno permesso di valorizzare ulteriormente. Ottima è la pulizia delle strade e la cura dell’arredo urbano. In più l’inserimento di molti nuovi servizi turistici è avvenuto con equilibrio all’interno di elementi architettonici tipici».
E pensare che se non fosse stato per quell’immagine «pittoresca» che ha colpito e in cui ha creduto una volitiva donna (non a caso) britannica, forse sognatrice ma dalla lungimiranza non comune, se non fosse stato per quel paesaggio urbano, per quel borgo così austero e fascinoso, per la bellezza insita e fedele insomma, che neppure la polvere e il degrado erano riusciti a cancellare, nulla sarebbe successo e Casperia oggi sarebbe forse solo un luogo buono per accogliere i ricordi dei bei tempi andati che non saranno più, rimestati al ritmo compulsivo dei giri di briscola nei lunghi pomeriggi dei troppi anziani rimasti, purtroppo come altrove, sconsolatamente soli.
Giordano Locchi
Articolo partecipante al premio giornalistico La Voce della Bellezza